Mostra: “The Undomestic House”

Ugo La Pietra partecipa alla mostra

“The Undomestic House”
a cura di Gabriele Mastrigli

12 gennaio – 9 marzo 2019
Galleria d’Arte Contemporanea Osvaldo Licini, Corso Giuseppe Mazzini, 90, Ascoli Piceno

Nel 1971 la rivista milanese “IN – Argomenti e immagini di design” diretta da Ugo La Pietra, una delle più attive nel panorama della cosiddetta architettura radicale, invita un numero selezionato di architetti e artisti a confrontarsi con il tema della “distruzione dell’oggetto”. L’idea era di mettere in discussione il ruolo della produzione in una società in cui il rapporto positivo tra soggetto-produttore e oggetto-prodotto era definitivamente collassato. Secondo i curatori del numero, i gruppi fiorentini Archizoom e Superstudio, gli oggetti non sono più destinati a portare avanti significati specifici. Distruggerli significa sfidare le tradizionali strutture formali dell’ambiente costruito, svuotando la nozione stessa di progetto da qualsiasi relazione prestabilita tra forme e funzioni, tanto sul piano materiale che simbolico.

Ne è un esempio l’intervento di Raimund Abraham Hinge-Chair (Sedia-cerniera), un progetto concettuale che lavora intorno al semplice gesto di tagliare una anonima sedia di legno lungo la sua sezione verticale, rimetterla insieme grazie a due cardini e fotografarla con una donna nuda che si siede nelle diverse configurazioni prodotte dalle due parti ricombinate. Per l’architetto austriaco la sedia è il paradigma dell’oggetto domestico che viene simultaneamente violato nella sua forma sacra e, attraverso i cardini, ridefinito come una macchina ambigua per agire nello spazio (è il corpo che muove la sedia o viceversa?).
L’eloquente aridità del progetto – non a caso scelto per la copertina della rivista – testimonia l’emergere dello spazio domestico come ultimo campo di battaglia dei processi di produzione, consumo e controllo nella cosiddetta società del benessere. La sedia a cerniera diventa l’emblema di un mutamento della concezione stessa della casa: non più la rappresentazione di un rifugio, ma una terapia-shock; non più un “dentro” legato a un uso convenzionale e un significato specifico, quanto piuttosto un “fuori” che interroga sul suo modo di funzionare.

In questa luce il progetto smette di essere la soluzione di un problema o la via d’uscita verso un “futuro”, ma diventa una riflessione sul suo significato più profondo, quasi una forma di autocoscienza. Distruggere gli oggetti significa dunque liberarci dalle strutture formali significanti e riacquistare capacità critica nei confronti delle pratiche che ci riguardano come soggetti attivi, come abitanti delle nostre case e progettisti dei nostri stili di vita.

Verso una casa non-domestica

La mostra si divide in due sezioni. Nella prima sono presentate opere di alcuni tra gli artisti invitati a contribuire al numero della rivista IN sul tema della “distruzione dell’oggetto”: Archizoom, Ugo La Pietra, Ettore Sottsass Jr. e Superstudio. Si tratta di una serie di collage, poster, fotografie e oggetti di arredo realizzati tra il 1968 e il 1974, che indagano la natura delle pratiche dell’abitare in quel passaggio storico di crisi della società occidentale, spostando l’attenzione dalle funzioni e dagli oggetti ai riti e alle attitudini. Dagli arredi di Archizoom come la poltrona Mies per Poltronova, ai poster dedicati ad oggetti e riti simbolici di Ettore Sottsass Jr.; dai collage della serie Il Sistema Disequilibrante di Ugo La Pietra, sino agli oggetti della Serie Misura e agli Istogrammi di architettura del Superstudio, tutte queste opere demoliscono i tradizionali legami sintattici imposti agli oggetti dalle convenzioni sociali, aprendo ad un nuovo campo di possibilità di interpretazione e d’uso. Lo sguardo fotografico di Stefano Graziani, che rilegge proprio gli Istogrammi di architettura, annulla idealmente l’oggettualità vintage della stagione radicale e conclude la prima sezione della mostra aprendo all’interpretazione e dunque al progetto.

La seconda sezione propone una serie di progetti didattici della Università di Camerino – Scuola di Architettura e Design “Eduardo Vittoria” con sede ad Ascoli Piceno. Si tratta di case ispirate ad un carattere che possiamo definire “non domestico”. Se la domesticità si riferisce a un sistema specifico di simboli e al suo potere di controllo, questi progetti mettono in discussione le categorie tradizionali attraverso le quali l’abitazione agisce come stabilizzatore sociale. Piuttosto che muovere da un programma funzionale o dall’inserimento in un contesto, i progetti esplorano i rituali dell’abitare smascherandone le ossessioni e i paradossi: dalla rigidità dei modelli tipologici all’accumulo compulsivo di oggetti, dal mito della flessibilità al mantra della domotica, dagli stereotipi familiari all’utopia del “rifugio”.
A questo scopo i progetti interpretano una serie di casi-studio appartenenti all’eredità del tardo modernismo e delle neo-avanguardie: il periodo in cui la società post-fordista si è espansa fino a incorporare l’intero spettro di possibili relazioni tra soggetto-produttore e oggetto-prodotto.
Analizzando e ricombinando materiali e concetti esistenti, ciascun lavoro analizza criticamente il concetto di casa nei suoi meccanismi di produzione e fruizione, come mediazione tra l’abitante e il suo modo di vivere, allargando i confini e tentando, in ultima istanza, di misurare la capacità dell’architettura di immaginare un altro abitare.