Anni ’90

Il Neoeclettismo, teorizzato e praticato dall’inizio degli anni ’80, trova nelle opere di La Pietra dedicate alla Nuova territorialità (soprattutto quadri e disegni) l’espressione più compiuta.
In questo decennio egli sviluppa i temi delle “diversità”, applicati al recupero di valori legati a territori che conservano ancora la propria identità.

Le opere più rappresentative sono: Il giardino all’italiana, realizzato a Bologna (interamente con piastrelle di ceramica industriale) in riferimento all’area produttiva di ceramica d’Imola, i Monumenti alla balnearità a Cattolica (in ceramica e mosaico) in riferimento alla ceramica di Faenza e al mosaico di Ravenna, il monumento al Salento (in pietra leccese). Ma sono soprattutto le collezioni di oggetti, realizzate in vari territori, a dimostrare il suo impegno verso quella cultura materiale che sembra, ancora negli anni ’90, lontana dalla cultura del progetto.

Basterebbe ricordare le collezioni della “Prima colazione” per Faenza Italia e il Comune di Faenza, le ceramiche “Boccali per il vino” per l’E.S.A. del Friuli Venezia Giulia, gli alabastri di Volterra, i mosaici di Ravenna e di Monreale, gli oggetti realizzati con i marmi di Carrara, la pietra Apricena, lavica, il travertino, le ceramiche (contenitori d’olio) di Grottaglie, fino alle collezioni per il merchandising museale per l’Ecomuseo di Fontanabuona (pietra lavagna) e per l’Ecomuseo di Cursi (pietra leccese). Queste ultime collezioni rappresentano in modo esemplare tutte le teorie e le ricerche che egli porta avanti negli anni ’80 e ’90 proprio su un argomento estremamente difficile e complesso: il souvenir.

Dalle mostre sul souvenir (Cattolica 1989) alle esperienze presentate alla Fiera di Ferrara, o al Comune di Gubbio, molte sono le occasioni in cui La Pietra cerca di riportare il valore progettuale e produttivo all’interno di questo settore, che si arricchisce, a metà degli anni ’90, con un particolare tipo di souvenir che sarà commercializzabile (con la legge Ronchey) all’interno dei musei italiani.

Egli realizzerà molti oggetti, ma sempre per “dimostrare” e per “insegnare”: insegnare a rinnovare la grande tradizione dell’artigianato artistico italiano, ma tutta la sua creatività in questo settore non avrebbe potuto essere così ricca (si contano più di millecinquecento oggetti) se non fosse continuamente alimentata dalla sua attività artistica. Disegni e acrilici accompagnano spesso gli oggetti e le installazioni; opere che hanno raggiunto espressioni simboliche e allusive, vedi la “credenza in ceramica” (L’architettura dell’oggetto), gli oggetti dedicati alla Casa virtuale e Casa naturale alla Triennale di Milano del 1992 e ancora l’ambiente Unità del mediterraneo al Museo d’Arte Moderna di Lione del 1991.

Ma sarà alla Triennale di Milano del 1996 che La Pietra cercherà di esprimere (invitato nella sezione italiana) la sua posizione di artista-architetto, realizzando un Frammento architettonico: sintesi delle sue teorie del rapporto Interno/esterno e del suo interesse verso l’artigianato e il “fatto a mano” unito al progetto industriale.

L’interno verso l’esterno, unito allo slogan Abitare è essere ovunque a casa propria, sono i soggetti portanti del suo fare e teorizzare per uno spazio urbano con la qualità dello spazio domestico privato, un’aspirazione (e quindi un modello progettuale) che ha accompagnato tutto il suo lavoro degli anni ’60 e che trova una risposta progettuale concreta nelle sue proposte per la “ristrutturazione dell’area Colonne di S. Lorenzo a Milano” o per gli spazi urbani del progetto Montecity sempre a Milano.

Egli è soprattutto un ricercatore all’interno delle aree di comunicazione; le sue opere difficilmente trovano spazio nel “sistema dell’arte”, sistema che egli ha sempre messo in discussione come, pur avendo partecipato attivamente all’interno della disciplina architettonica, non esiste una sua opera realizzata e rarissimi sono i suoi oggetti di design messi in produzione. Tutto ciò ha un significato che il tempo ha potuto dimostrare: La Pietra è stato e continua ad essere colui che guarda, esplora, decodifica.

Il suo metodo è quello che aveva teorizzato negli anni Settanta: Il sistema disequilibrante. In questi anni lo troviamo a decodificare (con la sua sottile ironia) i Transgenici (mostra alla Galleria Borgogna, 1999), a denunciare con oggetti e disegni l’ancora lontana Europa Unita, a proporre mostre come “Aspettando…” in cui l’attesa (aspettando la seconda Repubblica, aspettando il duemila, aspettando l’estate, aspettando il Giubileo, ecc.) esprime tutto il senso di una società che, cadute le grandi utopie, vive di continue attese!

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